Infinite Jest
Non so nemmeno se abbia senso scriverne.
Perché non ho fatto in tempo a leggere le ultime righe che lo stavo già ricominciando.
Mettete in conto una doppia lettura. Che, se da un lato molti pezzi torneranno al loro posto, si colgono un’infinità di sfumature che in prima battuta il cervello ha catalogato come “non importanti”.
Quello che percepisco è che il “non importante” in Infinite Jest non ci sia, non sia previsto.
Non c’è un briciolo di compiacenza nella scrittura, di manierismo.
Tutto ha il suo posto.
Se ci si aspetta da Infinite Jest una trama lineare, lasciate perdere.
E’ come avere letto La scopa del sistema e avere la pretesa di raccontare una storia.
Di una storia ce n’è un barlume, ecco. E non sto dicendo che non ci siano portentose relazioni sociali strutturate. I pilastri che reggono solidamente tutta la struttura dell’opera sono altri; ricercare continuamente durante la lettura il “cosa sta succedendo” vuol dire uccidersi pagina dopo pagina, frustrarsi progressivamente.
In Infinite Jest c’è la solitudine descritta come in poche altre pagine.
La dipendenza da qualsivoglia Sostanza, fosse quella delle più svariate droghe, minuziosamente raccontate, che dagli hobby vissuti visceralmente. L’incomunicabilità della Scopa del sistema torna puntuale. Il tennis, la matematica. Qui c’è il distillato di una vita, quella di David Foster Wallace, esposta e vomitata e digerita (forse) una pagina dietro l’altra.
E mentre ne scrivo mi chiedo se lo consiglierei.
Infinite Jest non è un libro semplice. La mole non mi ha mai spaventato, le famose note scritte con un corpo microscopico nemmeno. Ma riconosco che possano spaventare.
E’ enorme, una vera storia non c’è.
E’ che la lettura porta davvero a uno strano nichilismo, è una discesa agli inferi nella realtà in cui sono calati tutti i personaggi, ognuno in un modo drammaticamente unico.
Non c’è una vera storia che potreste raccontare agli amici. Se avete comprato il libro perché avete letto che si parla di un film che uccide le persone e siete convinti che sia The Ring, beh, mi dispiace molto. Anche se tutto sommato mi viene da ridere un po’.
Ma in realtà non c’è niente da ridere.
Infinite Jest non è una lettura facile o da intrattenimento. Anche se il titolo provvisorio era “A Failed Entertainment”
Ciononostante è il più grande intrattenimento che abbia mai vissuto in vita mia.
La persona che ha una così detta “depressione psicotica” e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette “per sfiducia” o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano “No!” e “Aspetta!” riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.
Infinite Jest
David Foster Wallace
Fandango Libri
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[…] L’esperienza di lettura più incredibile della mia vita che per anni mi ha terrorizzato e che non mi lascia libero. Se ci penso, ogni volta che finisco un libro, dopo aver chiuso l’ultima pagina, mi sembra ci […]