La sindrome del canale
Ho scoperto che se non dai da bere alle piante, non muoiono.
Stanno male un pochino, sì. Poi affondano le radici.
Cercano l’acqua dove possono e a volte la trovano, a volte devono spaccare il cemento, a volte sollevano le strade, scavano, scoprono una sacca di acqua e se la fanno bastare. Altre volte no.
E quando non ce la fanno, ho scoperto che non muoiono ancora.
Rimangono lì. Sembrano ancora vive, ma in realtà si stanno svuotando. Piano piano. Non te ne accorgi. Come quando viene buio nella stanza, non te ne accorgi mentre succede. Le foglie sì, quelle sì, crollano, ingialliscono.
Ma è solo la parte più esterna delle piante. Poi a un certo punto è buio. E bisogna accendere la luce. Ho scoperto che ci sono alcune piante che non lo danno a vedere se stanno male, se manca loro l’acqua per vivere.
Si lasciano morire. Ho scoperto anche che dopo un po’ effettivamente muoiono. E puoi arrivare con un carico di millemila litri di acqua buona, la più buona che c’è, ma l’unica cosa che rimane da fare è tagliare.
Prima i rami esterni, quelli più piccoli, quelli più belli, quelli che portano i fiori e le foglie.
Poi se è il caso, si tagliano quelli più grandi.
A volte rimane un moncherino appena di una pianta che prima era bella e enorme e poi, per qualche motivo, non le si è dato da bere e quindi è morta. Ma ci vogliono mesi, a volte anni.
Però poi è proprio un peccato.
Perché non è più la stessa pianta.
A volte poi bisogna proprio prendere il badile, tirarla fuori dalla terra, e buttarla via. Io vi posso assicurare di aver visto alcune piante di notte chinare i rami, tirarsi su le radici come fossero una gonna e andarsene via, in punta di piedi.
Un po’ scocciate, anche. Non fanno fatica perché la terra secca scivola via.
Si danno una ripulita e se ne vanno. Lo fanno quando hanno ancora un po’ di senno, prima delle varie mutilazioni. Le foglie comunque le hanno perse, i fiori praticamente subito. Ma almeno sono ancora tutte intere.
Invece alcune piante stanno lì.
Convinte che lì e solo lì si possa avere un po’ di acqua buona.
Non lo sanno che il mondo è rotondo e ci sono tantissimi litri di acqua da bere, gratis anche. Stanno lì e si lasciano morire. Convinte di dare fastidio, non si lamentano neppure. Che magari gli altri si accorgono che hanno dei bisogni.
Stanno lì e fanno il sorriso. “Sto bene io, sì.”
Non credeteci.
Le piante sono fatte così.
Che poi, intendiamoci, non hanno tante altre richieste. Anzi, sono più i privilegi che portano. Fanno ombra, cambiano l’aria, occasionalmente portano un buon profumo, ci si può appoggiare se si è stanchi, per leggere un libro, ed è bello averla attorno.
È che ci si dimentica di dare da bere. O si preferisce canalizzare l’acqua da altre parti.
Perché non tutte le piante hanno bisogno di acqua nella stessa maniera, ho scoperto. Alcune continuano a chiederne. Altre sembrano perennemente assetate. Solo che un po’ di acqua serve anche a noi, da bere, se no finiremmo disidratati, come loro.
L’eucalipto, per dire, è una pianta che necessita di tipo 90 litri di acqua al giorno.
Lo piantano per sistemare le paludi. Solo che poi continua a bere. E a volte prosciuga la falda acquifera. Pazzesco, eh. È una pianta molto bella, ed è enorme e le foglie fanno un bel rumore. Però bisogna saperle certe cose. Non è che puoi piantare un eucalipto nel giardino di casa tua.
Ho scoperto anche che le rose producono una specie di enzima che va nella terra. E se la rosa muore o viene spostata da un’altra parte, nella stessa terra non puoi piantare un’altra rosa. Pianti una rosa stupenda nella stessa terra e non vivrà mai. Sarà destinata a morire in tempi brevi. Quindi attenti.
E per il balcone compri delle piante bellissime e tutti i giorni le curi e dai loro da bere l’acqua insieme al sangue di bue e stai attento ai parassiti e lucidi le foglie. E intanto la pianta grassa che hai vicino al computer, quella piantina che non cresce molto, ma è lì, compagna da cento anni, testimone della tua vita, beh, te ne dimentichi.
E dopo mille mesi dici “accidenti, devo darle da bere”, e la terra è secca da far schifo, e tocchi la pianta grassa e si disfa tra le mani.
Andata.
Apri il sacco nero e ce la ficchi dentro e tanti saluti.
Coglione.
L’acqua che dovrei destinare ad alcune piante mi sembra di canalizzarla in altri discutibili obbiettivi.
Che ‘sti canali poi sono ormai dei labirinti intricati e a volte spero solo che l’acqua arrivi, ma non so bene se lo farà.
Io apro il rubinetto. Chi lo sa, poi. Sono lontane, alcune piante. O meglio. Ci sono piante che stanno lì da una vita e diventano un pezzetto d’arredo forse, dopo anni, e non mi rendo conto che anche loro hanno delle necessità.
A volte alzano i tacchi e, in punta di piedi, senza disturbare se ne vanno. Me ne accorgo tardi, quando magari sono in Spagna già da mesi e, tornando da Milano, con la pioggia che fa da sottofondo newagedelcazzo, vorrei dire loro: “ehi, vuoi un po’ d’acqua, ne ho che m’avanza! Che oggi l’ho data al lavoro, l’ho data ai sogni e l’ho data anche gratis a chi non la voleva.”
“Sono a posto così”, sono sicuro mi direbbero.
Non vogliono disturbare. Ma non bisogna credere alle piante. Dissimulano continuamente.
La verità è che hanno già preso il badile e se ne sono già andate a bere l’acqua altrove.
Giusto così.
E quindi ho un po’ di buchi nel giardino. Coglione.
Ho buchi nel giardino e sono pure un po’ assetato io, che l’acqua che ho è limitata e a volte non è neanche tanto buona.
E allora bisogna scegliere bene, bisogna scegliere meglio le piante che si piantano nel giardino. Infrastrutture tunnel e acquedotti che dissipano la pressione.
Ma che cristo. Canali su canali, succede che l’acqua finisce persa in una distesa di sabbia con una palma di plastica buona solo a sciogliersi al primo caldo.
Che se poi incontro quel testa di cazzo che quando passa mi lancia i mozziconi delle sigarette nel prato inglese, piatto e senza verde, giuro che lo meno.